Carolina Verzeletti

Ecco la seconda riflessione personale che abbiamo deciso di pubblicare nella nostra pagina dedicata agli ospiti. Oggi la direzione ha accolto con molto piacere una proposta che ci arriva da una persona che, chi legge le nostre pagine, ha già avuto modo di incontrare.
Carolina Verzeletti è l’autrice di oggi.
Si propone con un tema difficile e coraggioso. Vuole partire da un nostro post intitolato “Impotenza” per parlare della Determinazione.
Non ho intenzione di fare nessuna introduzione accessoria. Riporto soltanto la frase dalla quale parte tutto il discorso e chiedo la cortesia di leggere con attenzione quanto scritto. E' un regalo.  
“Essere in grado di risolverci un problema, di trovare sempre chi possa aiutarci e poter fare altrettanto per una persona che ci é cara credo sia un importante traguardo verso la felicità. Ma come, se é possibile.”


 

Ho preso un po' di tempo, e tirato un lungo respiro prima di decidere di dare una risposta alla tua riflessione.
Io, una risposta non l'ho! Ed è probabile che non sia nemmeno la persona adatta per dare un suggerimento universale, per via del mio carattere, a cause delle cose in cui credo, a causa della mia esperienza.
Nel corso della mia vita, tre volte mi sono ritrovata di fronte a questo dilemma, nell'impotenza, e di fronte alla scelta fra la mia "sopravvivenza di spirito" o oscurami all'ombra della persona Cara e dei suoi problemi.
Tre persone: il mio papà, un amico d'infanzia, il mio compagno, tre persone che hanno scelto e tracciato il loro destino, io in mezzo fra la loro vita e me stessa.
Credo di avere detto tutto quello che potevo dire, ho provato con il dolce e l'amaro, con la morbidezza e la fermezza, ma a nulla è servito.
Negli anni ho scoperto che esiste una forma di masochismo-vittimismo che s'impossessa delle persone, ho compreso che io non sono la causa delle loro scelte e non posso pagare per loro, ho compreso che non posso negarmi di esistere e farmi trascinare nel baratro della loro depressione, della loro incapacità di rialzare la testa, io non potevo lasciare morire la "mia anima con loro".
Ho assistito quasi inerme alla vita di mio padre che gli scivolava fra le mani, alla fine della corsa di un amico ormai perso e imbottito di psicofarmaci, e assito a come il mio compagno sta distruggendo con le sue mani la sua vita, colpevolizzando Dio e il mondo per il suo fallimento.
Tutti colpevolizzano qualcuno, è sempre colpa degli altri, è sempre colpa della vita, mai un segno di onestà interna,mai un segno di volontà di cercare la strada della risalita.
Tutto viene delegato a chi gli sta intorno, dalla risoluzione dei problemi più stupidi e quelli più seri, ti tendono una mano nella speranza e nell'illusione che tu possa cancellare ogni stato d'ansia o di paura per loro, si aspettano una magia.
Spesso mi sono sentita dire l'amore aggiusta tutto,l'amore rende felici,ma non è vero un cazzo (posso?), l'amore funziona in tal senso se tu dai amore, se ami ti salvi, ma se lo si pretende, se si crede di poter viaggiare su una corsia preferenziale perché nella vita hai sofferto, nella tua vita tutto non è andato come desideravi, il tuo io diventerà una piovra, non ne avrà mai abbastanza,non sarà mai sazio d'amore, pretende e ancora pretende...dimenticandosi che chi ti sta intorno ha dei sentimenti, vive una vita che non sempre gli sorride, a volte vorrebbe una spalla e due braccia su cui piangere e in cui nascondersi. Si dimenticano che chi gli sta intorno può avere bisogno del suo sorriso, che ha i suoi entusiasmi e le sue sconfitte, chi li ama un giorno si ritrova semplicemente solo, con tutto il peso che gli rade sulle spalle, oltre al dispiacere di vedere soffrire la persona cara.
Nel corso della mia vita, ho imparato solo che quando sono arrabbiata, quando sono triste e incrocio il viso della mia mamma, sorrido ugualmente, sorrido perché farla stare serena è la miglior cosa che sento di poter fare, sorrido e mentre evito una preoccupazione a lei, salvo me stessa.
Mi sono trovata anni fa sofferente di quelli che chiamano attacchi di panico, troppo schiva per parlarne con altri, mi sentivo responsabile con tutti i miei limiti di dover limitare a mia volta la vita di chi avevo intorno, scegliere di mettere me stessa di lato, mi ha salvato.
Non sto parlando di eroismo,ma solo di equilibrio, l'equilibrio di riconoscere quando chiedere aiuto e quando preferire di dare la precedenza a dispetto della sofferenza, della paura, della tristezza, alla gioia degli altri, e alleviarli dalla pena di non poterti aiutare, aiutarli a non stare male perché li amavo troppo per farlo.
Qui ti porto solo la mia esperienza, non la risposta né la soluzione...posso solo aggiungere di fare attenzione quando chi ti sta intorno sta male, se il suo male è temporaneo e legato ad un preciso avvenimento che richiede pazienza, sostegno e comprensione o di qualcuno affetto da "vittimismo", qualcuno che mai sarà felice, nemmeno se gli verrà donata la luna, perché in quel caso credo che vi sia poco da fare,se non accettarlo per come è,e di non permettergli di trascinarti nel suo vortice di eterna insoddisfazione.
Non che chi vive questo stato d’essere non meriti comprensione e aiuto, ma meglio se donato con le dovute distanze di coinvolgimento e lucidità.
Ma non pensate che si tratti di una malattia ma si tratta di immaturità e mancanza di consapevolezza di chi non vuole crescere, di chi non vuole prendersi responsabilità verso gli altri e particolarmente verso se stesso.
Corro il rischio di passare per cinica, per una che prende le distanze da chi soffre, da chi è debole e fragile, ma non è cosi, altrimenti non sarei esattamente dove sto, ma so qual è il prezzo che si paga e quanta forza di volontà ci le per non inaridirsi dentro, per non incupirsi, per continuare a sorridere ancora nonostante la sofferenza di chi ti sta accanto, e ci vuole coraggio per capire quando si arriva al fine corsa e dovere fare una scelta fra tua vita e quella di chi ami.
Un saluto e scusa la lunghezza atroce del commento.
Carolina Verzeletti

1 commento:

  1. Nonostante abbia visto il tuo articolo in anteprima e lo abbia riletto credo almeno una quindicina di vote, ho preso ancora un po' di tempo prima di dire due parole.
    Quello che mi colpisce delle tue parole è il fatto che parli con consapevolezza, con quella calma e tranquillità di chi l'ha vista tutta fino in fondo, con la pacatezza di chi ha ormai superato la fase critica e buia ed ha trovato una sua dimensione, di chi è in un certo modo "risorto" (ti rispondo nel giorno di Pasqua perché mi piaceva utilizzare questa metafora biblica). La metamorfosi che avviene ad un certo punto non ben definito di una situazione di crisi mi affascina moltissimo e quando noto lo stato di chi ci è passato uscendone migliore resto estasiato. E' davvero un qualcosa di grandioso che ha la capacità di mettere l'animo in una condizione quasi di pace. Anche se da quel momento tutto sembra in salita, io credo fortemente che rimanga soltanto un'impressione data dalla consapevolezza. E sono convinto che fermarsi soltanto cinque minuti a valutare i progressi della nostra vita fino ad oggi non farebbe altro che dimostrare ancora una volta che ce l'abbiamo fatta. Da quel momento di cambiamento una persona inizia a crescere (direi che è già cresciuto) e continua con una escalation che diventa naturale al punto che rimane parte di noi e contagia chi si ha intorno.
    Queste parole vogliono essere un ringraziamento a te, Carola, che hai scritto una pagina di te, ma al contempo un augurio perché tu possa continuare a contagiare tutti con fermezza e determinazione.
    Buona Pasqua.

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